Digestione anaerobica

La Digestione Anaerobica è un processo di degradazione della sostanza organica attuato da diverse specie microbiche, che, operando in serie ed in assenza di ossigeno libero (O2) o combinato (vale a dire legato chimicamente in composti inorganici, quali nitrati-NO3 oppure solfati-SO4), ne determinano la trasformazione, soprattutto, in nuovi microrganismi nonché in una miscela gassosa, genericamente denominata biogas e costituita, di norma per oltre il 98% in volume, da anidride carbonica (CO2) e da metano (CH4), con tenori di quest’ultimo composto variabili dal 35% al 65%.
Le prime applicazioni ingegneristiche della digestione anaerobica risalgono alla fine del secolo XIX, e riguardarono principalmente la stabilizzazione dei fanghi organici negli impianti di trattamento delle acque reflue (ITAR). Negli ultimi decenni, grazie alla spinta impressa dall’emanazione di nuove e più severe normative in tema di modalità di smaltimento dei rifiuti, nonché dalla necessità di individuare e sfruttare nuove fonti di energia, alternative ai combustibili fossili, la digestione anaerobica è stata proposta ed applicata anche per il trattamento di altri composti organici, costituiti sia da flussi di rifiuto, da smaltire in maniera adeguata e rispettosa delle disposizioni normative (liquami zootecnici, frazione organica dei rifiuti solidi urbani-FORSU, scarti dei mercati ortofrutticoli, residui delle industrie agroalimentari, etc.), che da biomasse specificamente individuate, e spesso all’uopo prodotte (vari tipi di colture energetiche), per la loro conversione in biogas. Tali pratiche hanno trovato amplissima diffusione soprattutto nei Paesi dell’Europa Centrale e Settentrionale, ed in special modo in Germania, dove, per effetto di oculate politiche di incentivazione, sono già oggi operativi circa 5000 impianti di DA, che occupano oltre 10000 addetti e sono in massima parte alimentati con colture energetiche, liquami zootecnici e rifiuti organici, con una potenza elettrica installata di circa 2000 MW. Nel nostro Paese, la realizzazione di digestori anaerobici non ad esclusivo servizio di ITAR ha preso avvio più di recente, ma si prevede che possa rapidamente svilupparsi, andando progressivamente in parte a sostituire, relativamente alla FORSU, sistemi di gran lunga in passato più utilizzati, in primis quello della discarica controllata. Basti considerare, a riguardo, che, in base ai dati ufficiali dell’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (ISPRA), ancora nel 2007 solo lo 219 mila tonnellate della produzione nazionale di rifiuti solidi urbani RSU trovava recapito in impianti di digestione anaerobica, mentre nel 2013 si era già passati a 447 mila tonnellate, più che raddoppiando, quindi, i quantitativi. Tale percentuale, per quanto ancora bassa, è destinata ad incrementarsi considerevolmente nei prossimi anni (ed in effetti, dati ancora non ufficiali già lo confermano), con trend di crescita esponenziali: emblematico è l’esempio della Regione Campania, che nel Piano Regionale di Smaltimento dei Rifiuti Solidi recentemente approvato ha individuato gli impianti di digestione anaerobica tra quelli basilari ai fini del superamento delle ben note ed annose condizioni di emergenza, destinandoli al trattamento di un’aliquota significativa delle circa 900000 tonnellate di FORSU prodotta annualmente.
I vantaggi associati all'impiego della digestione anaerobica per il trattamento della FORSU sono diversi, con implicazioni positive di ordine sia economico che ambientale. Questa tecnica di trattamento, infatti, non solo permette di limitare i quantitativi di rifiuto da smaltire in discarica controllata e/o da incenerire, riducendo di conseguenza le possibilità di alterazione delle proprietà e della composizione naturali del suolo, delle acque sotterranee e dell’aria, ma rende anche disponibile un prodotto gassoso ad elevato contenuto energetico, il biogas, utilizzabile come combustibile in impianti di produzione di energia elettricità e/o calore, nonché, come è stato proposto sempre più frequentemente negli ultimi anni, per l’alimentazione di autoveicoli a metano ovvero per l’immissione diretta nelle reti di adduzione e di distribuzione cittadina del gas naturale. Peraltro, alla luce di tali utilizzi, il biogas costituisce a tutti gli effetti una risorsa energetica alternativa e rinnovabile, il cui sfruttamento, a differenza di quanto accade con i combustibili fossili, consente di avvalersi degli incentivi statali all’uopo stanziati e non contribuisce all’alterazione dei tenori in atmosfera dei gas serra, in primis della CO2. Nel caso di digestione anaerobica di colture energetiche oppure di rifiuti organici provenienti da insediamenti specifici (zootecnici, agricoli, etc.) o da raccolta differenziata, ulteriori vantaggi economici ed ambientali sono rappresentati dal possibile riutilizzo del digestato, vale a dire del sottoprodotto semi-solido che residua dal processo anaerobico, che, essendo molto ricco di composti nutrienti (a base di azoto e di fosforo), è idoneo all’impiego in agricoltura come ammendante e/o fertilizzante, sia direttamente che, ancora meglio, a seguito di una seconda trasformazione biologica condotta, però, in ambiente aerobico, con la produzione finale di compost.
Non sembra neanche superfluo sottolineare che i contenuti costi di gestione di un impianto di DA nonché il tutto sommato modesto livello tecnologico che lo caratterizza ben si prestano anche per applicazioni in aree lontane dalle zone urbanizzate, o comunque relativamente poco infrastrutturate, nonché in Paesi in via di sviluppo, dove, a condizione, ovviamente, di poter garantire la continuità dell’arrivo dell’influente, essi possono anche contribuire alla usuale mancanza di disponibilità di fonti energetiche, spesso causa della stessa arretratezza economica e sociale.
Ovviamente, come per tutti i processi biologici, le prestazioni della digestione anaerobica sono fortemente influenzate sia dalle condizioni ambientali del contesto in cui essa si svolge (grado di umidità, temperatura, pH, etc.) che dalla composizione del substrato in trasformazione (tenore di sostanza organica facilmente biodegradabile, rapporti tra i contenuti di carbonio e di nutrienti, presenza di sostanze inibenti, etc.), che in situazioni particolarmente sfavorevoli possono determinare rallentamenti o addirittura occasionali interruzioni del processo. Maggiori stabilità e robustezza della digestione anaerobica, e di conseguenza maggiore continuità e costanza della produzione di biogas, possono essere ottenute miscelando insieme due o più matrici organiche, di diversa natura e provenienza, attuando il cosiddetto processo di co-digestione. Numerosi studi eseguiti negli ultimi 15-20 anni hanno messo in evidenza come un processo di co-digestione di matrici solide oculatamente individuate possa comportare un miglioramento complessivo delle caratteristiche di biodegradabilità della miscela rispetto a quelle dei singoli componenti, dal momento che la sua attuazione consente di: calibrare il rapporto tra i contenuti di carbonio e azoto (C/N) del substrato che viene digerito nell’intervallo ottimale 20/1–30/1; diluire i composti tossici eventualmente presenti in una delle matrici che concorrono a formare la miscela; regolare i valori del contenuto di umidità e di pH; incrementare la capacità tampone nel digestore; aumentare il contenuto di materiale biodegradabile; ampliare il numero di specie microbiche che presiedono al processo biologico.

 

- Principi di digestione anaerobica

 

- Tipologie impiantistiche per la digestione anaerobica