Filtri Biologici Areati

 

I filtri biologici areati possono essere considerati come un’evoluzione dei ben più tradizionali letti percolatori, rispetto ai quali consentono il superamento di uno degli aspetti più negativi, costituito dalle notevoli volumetrie connesse alla presenza di materiale inerte di supporto a granulometria grossolana. Il ricorso a materiale inerte a grana molto più fine, dell’ordine del millimetro, consente di contenere fortemente i volumi dei reattori biologici, sia perché induce una drastica riduzione del volume occupato dagli inerti che per effetto del sensibile incremento della loro superficie specifica e, di conseguenza, della concentrazione della biomassa adesa. Le ridotte dimensioni del mezzo di supporto impediscono di mantenere, con i carichi idraulici di norma adottati, condizioni di moto riconducibili alla percolazione, instaurandosi, viceversa, un moto di filtrazione; ne conseguono, da un lato, la completa immersione dei pori nel refluo, dall’altro, l’esigenza di ricorrere all’aerazione per via artificiale e, dall’altro ancora, la possibilità di sopprimere la sedimentazione a valle della fase biologica, dal momento che gli elementi di supporto trattengono i solidi sospesi trasportati dalla corrente idrica.
Dal punto di vista impiantistico, sono possibili due configurazioni: a letto fisso (BAF, Bio-Aerated Filter o SAF, Submerged Aerated Filter) oppure a letto mobile (FBR, Fluidized Bed Reactor). La differenza consiste, sostanzialmente, nelle diverse velocità con cui il refluo in trattamento attraversa il filtro, in quanto in corrispondenza di velocità più elevate, dell’ordine di 20 m/h, l’energia cinetica è sufficientemente elevata per smuovere e mantenere in continua agitazione il materiale filtrante. I sistemi a letto fisso, per i quali la velocità di filtrazione varia da 2 a 4 m/h, con punte massime di 7÷8 m/h, possono essere alimentati sia con modalità downflow, dall’alto verso il basso, che, al contrario, con modalità upflow. (Figura 1). Il passaggio da uno schema di funzionamento all’altro determina un maggior dispendio energetico e una minore capacità di ossigenazione del sistema, ma anche: tempi più ampi intercorrenti tra due intasamenti del filtro consecutivi; minor rischio di formazione di macrobolle d’aria nel materiale filtrante (coalescenza delle bolle d’aria); assenza di ristagno di acqua maleodorante e poco igienica sulla parte superiore del filtro a diretto contatto con l’ambiente esterno.
Via via che il filtro a letto fisso resta in funzione, il materiale di supporto tende progressivamente ad intasarsi, per cui, mediamente con una frequenza di 2÷4 giorni, si rende necessario operarne il lavaggio con aria ed acqua in controcorrente. Tale lavaggio non è necessario per i filtri a letto mobile, in quanto, per effetto dell’agitazione prodotta dall’acqua in movimento, alimentata con modalità upflow, gli inerti più copiosamente ricoperti dalla pellicola  biologica, e pertanto con un peso specifico minore, tendono ad occupare la parte più superficiale del filtro, da cui, con continuità possono essere estratti.
Figura 1. Schema di un sistema con un filtro biologico aerato a letto fisso alimentato in modalità upflow

 

Il dimensionamento dei filtri areati si basa sull’adozione di criteri empirici, utilizzando coefficienti che rappresentano il carico organico abbattuto giornalmente. In particolare, per i filtri biologici aerati a letto fisso, si fa di norma riferimento ad un fattore di carico volumetrico (Cv) dell’ordine di 2÷3 kg BOD5/(m3·d), mentre per quelli a letto mobile, per i quali il contatto substrato-microrganismi è favorito dalla turbolenza idrodinamica e le concentrazioni di biomassa sono più elevate, possono adottarsi fattori di carico anche di 10 kg BOD5/(m3·d), riducendo, a parità di efficienza depurativa, i volumi da un minimo di 1/3 a un massimo di 1/5. I materiali utilizzati come supporto, di dimensione dai 3 ai 6 mm per la configurazione a letto fisso, e inferiori al millimetro per quella a letto mobile, possono essere di origine naturale (pomice, argilla espansa), oppure artificiale (polistirene, propilene o altre sostanze rigorosamente coperte da brevetto). La superficie specifica ad essi associata è elevata e, a seconda del materiale usato, varia nell’intervallo 500÷2000 m2/m3.